Gli anni del "boom economico"
Il tema del restauro monumentale e archeologico
Nel
1963 viene pubblicato il testo di
Cesare Brandi Teoria del
restauro, che raccoglie
l'esperienza dell'Istituto centrale
per il restauro a partire dalla sua
istituzione nel 1939, e che
costituisce il fondamento teorico per
la Carta di Venezia
promulgata dall'Icomos nel 1964. La
teoria (e quindi l'operazione) del
restauro, discende per Brandi
direttamente dal riconoscimento del
valore estetico e storico
dell'oggetto d'arte, e
specificatamente per architettura,
come per gli oggetti che incarnano la
memoria collettiva, si sancisce il
principio della conservazione, ovvero
«nel restauro di un monumento sono da
rispettare tutti i contributi che
definiscono l'attuale configurazione
di un monumento, a qualunque epoca
appartengano, in quanto l'unità
stilistica non è lo scopo di un
restauro». Tuttavia la stessa
Carta di Venezia consente
che «il consolidamento di un
monumento può essere assicurato
mediante l'ausilio di tutti i più
moderni mezzi di struttura e di
conservazione»6.
Negli anni Sessanta la disponibilità
di risorse e di prodotti innovativi
dell'industria edile e chimica
consente, anche in campo
archeologico, una ricca stagione di
ricerche in termini di campagne di
scavo, ma anche di metodi per
l'intervento. Accanto alle esperienze
delle ricostruzioni à
l'identique di Pietro Gazzola e
al restauro "critico" di Roberto
Pane, assume un ruolo di rilievo la
figura di Franco
Minissi, che aprirà anche nel
campo del restauro all'utilizzo dei
nuovi materiali dell'industria, dando
nuovo sprone creativo alle
possibilità di una disciplina troppo
legata tra i vincoli
dell'autoregolamentazione. Suoi sono
gli interventi per la ricostruzione
figurativa, totalmente reversibile,
in omaggio alla redigenda Carta
del restauro, delle gradonate
del teatro
greco di Eraclea Minoa
(Agrigento, 1960-1963) in materiale
plastico o della "stereotomia
rappresentativa" delle coperture
della chiesa
di San Nicolò Reale a Mazara del
Vallo (Trapani, 1960), e della
riproposizione volumetrica della Villa
del Casale di piazza Armerina
(Enna, 1958). Nonostante l'intuizione
della possibilità di rendere
visibile, ancorché reversibile,
l'immagine architettonica del
passato, pur garantendone la
riconoscibilità, venne tuttavia
ritenuta dalla critica dell'epoca,
tuttavia, eccessivamente
interventista a scapito della
conservazione del bene culturale,
senza contare che il troppo rapido
invecchiamento delle nuove tecnologie
si è dimostrato, negli anni
successivi, mal combinabile con le
esigenze del restauro.
La nuova concezione di città: il ruolo delle università e dell'industria
Tra
gli anni Sessanta e Settanta si
articola una nuova concezione di
rinnovamento urbano, soprattutto nei
centri di dimensioni più minute che,
nel corso di decenni precedenti,
hanno subito un relativo
spopolamento. È il caso del piano di
Pier Luigi Cervellati per il centtro
storico di Bologna, come del Piano di
Giancarlo
De Carlo per i Collegi
universitari di Urbino (PU) (a
partire dal 1960). L'esperienza
urbinate costituisce un laboratorio
attivo, che lo accompagna per oltre
un decennio nell'esperienza
dell'architettura urbana sociale,
attraverso la realizzazione di un
Piano regolatore fortemente integrato
con il progetto delle funzioni, degli
spazi dell'architettura e della
socialità interna ed esterna che si
dovrà andare a conformare, fino a
relazionarsi, paesaggisticamente, ma
anche funzionalmente, con il
territorio circostante.
Carlo Bo, rettore dell'istituto
universitario urbinate, definisce De
Carlo «un rivelatore prima ancora che
un costruttore». Il progetto moderno
si piega a inserirsi armonicamente
nel contesto, che ne viene
completato.
Lo stesso Giancarlo De Carlo è
autore, allo scadere del decennio, di
un'ulteriore progetto fortemente
partecipato dai fruitori per il villaggio
"Matteotti" a Terni (1969-1975),
realizzato per accogliere i
lavoratori delle acciaierie.
Il progetto integra alla sua
composizione, organica in sé e nel
suo inquadramento ambientale e
paesaggistico, un sistema di funzioni
e di percorsi che riassumono la
decennale ricerca che dall'unità
d'abitazione di stampo
lecorbusieriano portava al concetto
della città giardino e
dell'architettura integrale dell’i
stituto Ina-casa, per il quale De
Carlo aveva effettivamente lavorato
un ventennio prima.
1
Storia
dell'architettura Italiana. Il
secondo Novecento, a cura di
F. Dal Co, Milano, Electa,
1997.
2
F. Gurrieri, Intorno alla scuola
Fiorentina, in L'architettura
nelle città italiane del XX secolo:
dagli anni Venti agli anni
Ottanta, a cura di V.
Franchetti Pardo, Roma, Jaca Book,
2003.
3
G.
Ciucci e F. dal Co, Architettura
italiana del Novecento,
Milano, Electa, 1990.
4
A. Rossi, L'azzurro del
cielo, in «Controspazio»,
ottobre 1972, 10.
5
A. Anselmi, Il lavoro del
GRAU, in «Controspazio», agosto
1972, 8.
6
Artt. 10 ed 11 della Carta di
Venezia, 1964.
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