Il dopoguerra e la ricostruzione
Il nuovo linguaggio dell'architettura per la collettività
Dopo
la guerra, negli anni che vanno dal
1945 alla fine del decennio
successivo, si verifica una vasta
mobilitazione dell'intero Paese per
l'opera di ricostruzione. La cultura
architettonica, ancora pienamente
attiva nel suo dibattito interno,
viene investita del ruolo di
ricomporre l'immagine di un Paese
sconvolto dal conflitto.
La rinascita nazionale viene
celebrata nell'architettura tramite
la ricerca di valori genuini, come si
vede già nel 1944, nel progetto per
il Mausoleo
delle Fosse Ardeatine (Nello
Aprile, Cino Calcaprina, Aldo
Cardelli, Mario Fiorentino, Giuseppe
Perugini), attraverso il quale i
giovanissimi interpreti rievocano uno
spirito assolutamente rinnovato che
esprime un'esplicita rinuncia alle
forme magniloquenti del regime, come
a tutto il suo apparato simbolico e
scenografico. L'architettura degli
anni Quaranta e Cinquanta risulta
pertanto intimamente attraversata da
uno spirito populista, tesa a
identificarsi con lo sforzo sociale
della rinascita dall'indigenza e
dall'umiliazione della guerra. Il
programma edilizio delle
amministrazioni del resto è
radicalmente variato e prevede in
maniera cospicua la realizzazione di
vasti quartieri residenziali popolari
alle periferie delle grandi città, la
riqualificazione di aree depresse, il
ripristino di strutture pubbliche e
di servizio1.
In questo senso assume una funzione
di manifesto ideale il concorso per
la stazione ferroviaria di Roma
Termini del 1947, nel quale si
propongono le nuove forme di
un'architettura tesa all'innovazione
e alla celebrazione della
collettività in netto contrasto con
lo spirito del passato. Mario
Ridolfi, nello storico volume n°
6 de «La Casa», scrive come, anche
nei limiti delle scelte imposte
dall'architettura del regime, i
grandi architetti, Figini e Pollini e
Libera, nell'esperienza dell'E42
abbiano «detto quello che hanno
potuto dire, di contrabbando»2
e al contempo esprime un'autocritica
per tutti coloro che nel regime hanno
lavorato pur non condividendo il
messaggio architettonico che questo
esprimeva. Lo stesso sentimento
doveva provare Adalberto Libera che
nel dopoguerra si ridimensiona al
ruolo di dirigente dell'ufficio
tecnico dell'istituto Ina-casa, per
il quale redige i libretti di
Suggerimenti e norme,
riducendo la sua attività progettuale
a pochissime occasioni, in
primis per "l'unità d'abitazione
orizzontale al Tuscolano".
L'architettura organica e il dibattito sulla casa popolare e la forma della città
Si
ritrova ancora una volta lo
scollamento tra le esigenze della
politica e la cultura architettonica,
seppure in forme diverse. I principi
dell'architettura organica, dopo
l'esperienza dell'esilio americano,
sono promulgati da Bruno
Zevi nell'accademia romana
tramite l'Apao (Associazione per
l'architettura organica), ma trovano
eco nella rivista milanese
«Politecnico» e in «Metron».
All'intenzione di costituire un
pensiero tecnico e intellettuale che
agisca unitariamente per creare
attraverso «un'architettura sociale,
tecnica e artistica allo stesso tempo
[…] l'ambiente per una nuova civiltà
democratica»3
non corrisponde un'esperienza
urbanistica complessiva, quanto
piuttosto un quadro metafisico di
principi che trovano applicazione
soltanto alla scala del fabbricato,
senza investire il sistema
urbano.
Il programma edificatorio
dell'Ina-casa (costituito con legge
Fanfani del 28 febbraio 1949),
prevede l'edificazione di grandi
quartieri residenziali, sui quali la
sperimentazione dell'architettura
organica offre inattesi riscontri
proprio da parte di autori come Mario
Ridolfi, che nel quartiere di case
a torre in viale Etiopia a Roma (con
Wolfgang Frankl, 1949-1955)
sperimenta il «valore comunicativo
autonomo del linguaggio
architettonico» proveniente dalla
tradizione, dalla forma
dell'architettura minore e
vernacolare che nella sua idea di
"architettura" deve caratterizzare
l'architettura del popolo, fin quasi
a «rinunciare al progetto» per
dedicarsi prevalentemente alla
ricerca tecnologica
«artigianale»4.
Non è mutata, nel dopoguerra, la
funzione sociale dell'architettura
come volano per l'occupazione, né
Ridolfi dimentica la lezione di Adolf
Loos, per cui l'architetto è un
«muratore che ha studiato il latino»,
e caratterizzerà le sue opere per
l'Ina-casa sulla base degli studi
sulla forma e sulla dimensione degli
spazi a misura d'uomo che aveva già
intrapreso con l'edilizia delle case
e delle villette degli anni Trenta
(si ricorda qui la Palazzina
Rea a Roma) e con la redazione,
per il Cnr, del Manuale
dell'Architetto, a partire
proprio dal 1945, quasi ad istruire i
successivi operatori d’architettura
sul modo e le forme della
ricostruzione.
-
1
- 2