L'architettura del Fascismo
Il sistema urbano della città fascista
La
cultura urbanistica italiana si
accosta, negli anni del Fascismo,
alla scuola tedesca dello
Städtebau (costruzione della
città) canonizzata dal testo di
Camillo Sitte1,
cui si aggiunge (anche ad opera di Giovannoni
e Piacentini) una connotazione
estetica; d'altro canto non trova
accoglienza in Italia l'esperienza
inglese Townplanning, più
interessato alle strutture sociali e
all'efficienza che non alla
costruzione di una forma urbana, se
non ai margini delle grandi città con
i satelliti delle città giardino di
Roma, Garbatella e Monte Sacro o in
rari casi di industrializzazione
illuminata come per il villaggio
Solvay di Rosignano Marittimo
(LI).
«Comunque l'idea di fondo rimane
quella della città monocentrica e
compatta, con densità discrete: tali
sono i caratteri della città italiana
che si vogliono mantenere e di fatto
non esistono, in gran parte
dell'Italia, massicce concentrazioni
industriali da decentrare»2.
Vecchie città ed edilizia
nuova, riprendendo il titolo
degli scritti di Giovannoni del 1913
raccolti [ed ampliati] nell'omonimo
libro del 1931, «sono realtà che
devono bilanciarsi tra loro […]; alla
nostalgia di una città di cui si
vogliono preservare mitici "valori"
sociali ed ambientali si accompagna
la necessità di predisporre soluzioni
funzionali allo sviluppo»3.
L'ipotesi giovannoniana del
diradamento che dovrebbe "ripulire ed
igienizzare" discretamente i centri
storici, conservandone le qualità
ambientali e formali, sembra la via
più economica ed efficace per la
riqualificazione. Si susseguono
l'esperienza di Brescia, il cui nuovo
Piano regolatore nel 1928 era stato
affidato direttamente a Marcello
Piacentini, primo architetto dello
Stato fascista, e l'esperienza di
Bari condotta da Concezio Petrucci a
partire dal 19314.
I temi dell'urbanistica, così come si
vanno affermando alla fine degli anni
Venti, cercano una risposta
all'esigenza di organizzare il
territorio tra crescita urbana,
sviluppo e conservazione. Nel 1916
Piacentini aveva scritto «Lasciamo la
città vecchia così come si trova e
sviluppiamo altrove la nuova»,
riferendosi alla vicenda di Roma, ove
invece la teoria della scuola di
architettura deve di necessità
lasciare il passo alle esigenze della
rappresentanza politica.
Palazzo del Governo di Terni, Cesare Bazzani, 1930-1936. Veduta notturna dell'edificio e della piazza antistante.
Il programma edilizio del Fascismo e l'eredità del Modernismo
I
programmi edilizi promossi dal
Fascismo con tempi di realizzazione
propagandistici, anche al fine di
utilizzare la produzione edilizia
come volano per l'economia nazionale,
devono riportare in ogni provincia
l'immagine del governo centrale.
Nasce in questo senso un "Movimento
moderno" dell'architettura, erede
dell'impostazione giovannoniana. Un
fulgido esempio ne è il Palazzo
del Governo di Terni di Cesare
Bazzani (1930-1936).
Un'importanza cruciale, in questo
dibattito, rivestiranno le nascenti
riviste di architettura, con
particolare riferimento a «Domus» di
Giò Ponti e «La casa bella» di Guido
Marangoni, ambedue fondate nel 1928 e
che accompagneranno e guideranno lo
sviluppo del linguaggio
architettonico nazionale spesso in
contrasto con il Regime.
Sono gli anni in cui il linguaggio
della propaganda fascista cerca
legittimazione nella Esposizione
italiana di architettura del 1931
dove, dopo un decennio di
architettura "modernista", Pier Maria
Bardi presenta la sua Tavola
degli orrori (collage delle
opere di Marcello Piacentini, Armando
Brasini, Cesare
Bazzani e altri - vedi immagine
in alto a sinistra)5.
Il dibattito architettonico vive un
fortissimo scontro tra i giovani
milanesi del Gruppo 7 (Libera,
Terragni, Figini, Pollini, Rava,
Frette, Larco e Castagnoli) e il MIAR
(Movimento italiano di architettura
razionale) da un lato, che tentano di
traslare in Italia lo stile
internazionale della scuola francese
di Le Corbusier e dello Staatliches
Bauhaus di Walter Gropius, e
le istanze conservazioniste
dell'architettura del Regime
dall'altro.
Con i grandi concorsi del 1932 per le
Poste centrali, e del 1937 per le
grandi centralità urbane romane
dell'università La Sapienza e
dell'E42 si scioglierà il dibattito
trovando il giusto spazio per le
esigenze dell'architettura
propagandistica nel linguaggio
dell'architettura razionale,
autarchicamente mondata dei suoi
connotati esterofili6.
Questa ondata di innovazione si
riverbera da Roma in tutte le
architetture di rappresentanza del
Regime. Già nella Stazione
marittima, di Trieste (Umberto
Nordio, 1926-1930) si legge una
fase di passaggio che affianca alla
monumentalità dell'ordine gigante di
paraste dell'architettura di Regime,
un inquadramento astilo ed ampie
specchiature vetrate, memori della
lezione mitteleuropea di Paul
Bonatz.
Le città di fondazione
Numerosissimi sono i progetti per il
rinnovamento urbano delle grandi
città italiane, in primis i
piani del 1931 per Roma proposti dal
Gruppo urbanisti romani capeggiato da
Piacentini e dal gruppo della
Burbera, guidato da Giovannoni, che
affianca ad un programma per
l'espansione di stampo razionale, un
piano di ampi stravolgimenti per la
monumentalizzazione del centro
storico.
Forse l'ideologia urbana del Regime è
più facilmente leggibile
nell'esperienza delle città di
fondazione. Nel programma politico
populista del Fascismo rivestono un
ruolo fondamentale le bonifiche che
hanno riscontri binati nell'uso del
territorio e nella sua
infrastrutturazione fino
all'edificazione (talvolta) di interi
complessi urbani, quali, Littoria
(oggi Latina), Guidonia,
il cui piano regolatore generale
venne elaborato tra il 1934 e il 1935
da Giorgio
Calza Bini con Gino
Cancellotti e Giuseppe
Nicolosi, e Sabaudia,
la cui pianificazione generale venne
affidata a Luigi
Piccinato nel 1932-1934. Sabaudia
"perla del razionalismo" incarna
pienamente lo spirito dell'epoca: la
città di fondazione non ha il
pregresso storico che ne definisce la
forma urbana, si articola pertanto
secondo i principi dell'urbanistica
razionale, proponendo la forma pura
del sistema interconnesso di "fulcri"
sociali connessi da un cardo
e da una successione di assi visuali
e distributivi sul quale far
spiccare, ad un cardine, la torre
civica e, dall'altro, il campanile
della Chiesa
della Santissima Annunziata di Gino
Cancellotti (1933-1935)7.
1 C.
Sitte, Der Städtebau nach seinen
künstlerischen Grundsätzen
(La costruzione della città
attraverso i suoi principi
artistici), Vienna, 1889.
2 G.
Ciucci, Gli
architetti e il fascismo.
Architettura e città,
1922-1944, Torino, Einaudi,
1989.
3 G.
Ciucci, Gli
architetti e il fascismo.
Architettura e città,
1922-1944, Torino, Einaudi,
1989.
4 L'architettura
nelle città italiane del XX secolo:
dagli anni Venti agli anni
Ottanta, a cura di V.
Franchetti Pardo, Roma, Jaca Book,
2003.
5 G.
Ciucci e F. dal Co, Architettura
italiana del Novecento,
Milano, Electa, 1990.
6 G.
Ciucci e F. dal Co, Architettura
italiana del Novecento,
Milano, Electa, 1990.
7 Metafisica
costruita: le città di fondazione
degli anni Trenta dall'Italia
all'Oltremare: dagli archivi storici
del Touring club italiano e
dell'Istituto italiano per l'Africa e
l'Oriente e dai fondi
locali, a cura di R. Besana,
C. F. Carli, L. Devoti, L. Prisco,
Milano, Touring club italiano,
2002.